In vista della discussione in aula della bozza del decreto Franceschini, l’associazione Copernicani si pronuncia contro quella che – di fatto – è una “tassa” obsoleta e ingiustificata.
La copia privata è un sistema obsoleto che il Ministro Franceschini, stando alle bozze del suo nuovo decreto trapelate fino ad ora, sembra voler confermare. Questa bozza di decreto continua a compensare gli autori per un tipo di copia che gli utenti, dati Istat alla mano, non effettuano praticamente più, e aumenta addirittura sia le tariffe sia le tipologie di dispositivi che ne sono soggetti. Il decreto impone una vera e propria tassa, sconosciuta al cittadino, poco trasparente per quanto riguarda la distribuzione delle risorse ottenute e ingiustificata in base ai trend tecnologici.
La copia privata è una copia legale che un individuo può fare di materiale protetto da copyright (musica, film, etc) per uso privato. La base giuridica su cui poggia è che si debba compensare gli artisti per i proventi persi quando questa tipologia di copia viene effettuata. La soluzione: una tassa sui dispositivi multimediali e ora digitali. Per spiegarla dobbiamo risalire a esempio di comportamenti del secolo scorso: un caso classico di copia privata era quello della persona X che, invece di comprare una cassetta di Battisti nuova per il suo migliore amico, gliene faceva una copia partendo dalla propria. Nel prezzo delle cassette vergini era incluso questo compenso per copia privata (0,23 € per ora di registrazione, con il vecchio decreto).
Questa norma era comprensibile negli anni 90-2000, tanto che la maggior parte dei paesi europei aveva introdotto schemi simili. Ora in molti stanno rivendo questi sistemi. In Italia la sentenza della Corte Europea di Giustizia ha annullato il Decreto Bondi del 2009 principalmente per il ruolo eccessivo e potenzialmente con conflitto d’interessi della SIAE, e per il complesso sistema di rimborsi in caso di uso professionale del dispositivo. Il primo Decreto Franceschini del 2014 già aumentava le tariffe rispetto al 2009 e all’aumento del 2003. Ora il nuovo decreto sembra volerle alzare ulteriormente e aumentare anche i dispositivi a cui si applicano, includendo per esempio gli activity tracker.
Oggi sappiamo bene, anche grazie ai dati Istat pubblicati dal MiBACT (vedi nota 1), che solo una piccolissima percentuale di persone copia musica o film dopo averla comprata o scaricata. Con l’arrivo delle piattaforme di streaming, si tende ad ascoltare la musica sempre di più online e in abbonamento. In sostanza, ormai solo il 6,8 % dei consumatori copia musica o video sullo smartphone, ma tutti dovremo pagare in media circa 5 € per ogni smartphone acquistato. Moltiplicato per 15,4 milioni di dispositivi venduti (fonte: GfK) otteniamo una potenziale “tassa” di quasi 80 milioni di euro. A questo dobbiamo aggiungere i compensi relativi a Tablet, Wearable, Smartwatch, activity tracker, hard disk, schede di memoria fino alle chiavette USB: supporti toccati ancor più marginalmente dalla copia privata ma sull’acquisto dei quali gravano compensi SIAE (si potrà arrivare a un max di 9,00 € per una chiavetta USB – fonte: dday.it).
Quindi la tassa per copia privata non ha più motivo di esistere e ancor meno di essere estesa a nuovi supporti digitali o aumentata in termini di gettito.
“Ci auguriamo che il prossimo 20 febbraio, quando si terrà la discussione in aula della bozza del decreto, si terrà conto di queste criticità”: questo l’auspicio del Presidente dell’associazione Copernicani, Andrea Danielli.
Note:
1 Dati 2017 Con grande prevedibilità i numeri oggi sono ancora inferiori. Solo Spotify ha registrato un tasso medio di crescita del 31% nel 2019.
COMUNICATO STAMPA del 17 febbraio 2020
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