E’ emozionante osservare la risposta della comunità internazionale di progettatori alla richiesta di aiuto dei sistemi sanitari nazionali. C’e’ ormai un alto numero di progetti circolanti, alcuni realizzati. Si tratta di parti per ventilatori non più facilmente reperibili sul mercato o di interi progetti per la costruzione di nuovi dispositivi low-cost e di rapida fabbricazione. Ingegneri e medici si scambiano informazioni, dati e disegni e parlano. C’e’ un parlottio continuo sulla rete. La modifica di una maschera da snorkeling della Decathlon da parte di un team guidato dal dr. Renato Favero, ex primario dell’Ospedale di Gardone Val Trompia (Bs), e la stampa in 3D di una valvola mancante da parte di un secondo team guidato da un giovane ingegnere dei materiali, Cristian Fracassi, hanno fatto già il giro della rete. E’ ancora più recente un progetto sviluppato e messo in rete da ricercatori dell’università di Milano per un respiratore di basso costo e facile realizzazione.

Lunedi’ 23 Marzo un ricercatore di Google, Johnny Chung Lee, ha pubblicato un progetto hardware (Github) basato su pochi pezzi elettromeccanici e una scheda Arduino che regola il flusso in un ventilatore fai-da-te. Lee ha inoltre pubblicato una documentazione delle problematiche relative al reale utilizzo sul campo di un simile apparecchio. E’ un esempio di una nuova e più importante tendenza che può lasciare il segno. Come dice il giovane ingegnere della bay-area, “nell’eventualità che le ospedalizzazioni da COVID-19 esauriscano le scorte di ventilatori approvati per uso medico, ho iniziato a documentare il processo di conversione di un respiratore a basso costo CPAP (Continuous Positive Airway Pressure) in un rudimentale ventilatore”. Lo stesso giorno, in Italia, un gruppo di ricercatori sotto la guida di Cristian Galbiati, ha sviluppato, messo in rete e avviato verso una raccolta di fondi un ventilatore meccanico adatto a una rapida produzione di massa.
E’ un tempo particolare questo, un tempo di lontananza e di comunanza, sicuramente di partecipazione e di responsabilità. I vari tentativi che si stanno succedendo per aiutare il nostro personale sanitario a fare fronte alla richiesta di intervento fuori dall’ordinario colpiscono tutti. Gli esempi sono tanti, non solo in Italia e originano, per ora, in gran parte dalla penuria di attrezzatura specifica per la ventilazione meccanica e altri supporti di rianimazione.
L’emergenza non è solo italiana ma è diffusa. La Società USA per la “Critical Care Medicine”, la scorsa settimana ha pubblicato un documento in cui si rileva che l’American Hospital Association ha stimato che solo negli Stati Uniti 4.8 milioni di pazienti saranno ricoverati a causa di COVID-19, che 1.9 milioni di pazienti saranno ricoverati in terapia intensiva e 960.000 avranno bisogno di ventilazione meccanica. I dati relativi alle disponbilita’ attuali sono di circa 200.000 unità, decisamente meno di quanto necessario. La possibilità che si verifichi una carenza di ventilatori è perciò considerata reale in tutto il mondo. In Europa, la Germania e l’Italia si sono trovate nei giorni scorsi a fare massicci acquisti (5000 l’Italia e 10000 la Germania) di ventilatori per la terapia intensiva.
Rappresentazione del virus Covid19,
ricavata da un rendering delle
immagini al microscopio elettronico.
Il virus Covid19 colpendo le cilia delle cellule di tipo II degli alveoli impedisce loro di liberarsi del muco, che li intasa limitando fortemente la possibilità di scambio di ossigeno con il sangue. In questi casi estremi e’ essenziale avere una ventilazione forzata profonda tramite intubazione e l’uso di un ventilatore. Alcuni hanno lavorato sulla possibilita’ di usare lo stesso ventilatore con piu’ pazienti, giocando sul livello di pressione da fornire. Il Dott. Alain Gauthier, un anestesista al “Perth and Smiths Falls District Hospital” in Ontario, Canada, ha modificato le connessioni di un ventilatore (e, piu’ importante, calcolato e usato diversi flussi) per ventilare nove pazienti contemporaneamente. Qualche cosa che poteva essere fatto anche prima, ma nessuno era mai stato costretto a fare. E’ anche il caso di Julian Botta, uno specializzando in medicina d’urgenza al Johns Hopkins Hospital (Baltimore, Maryland) ha creato un Google Doc con una prima lista di specifiche di base per un ventilatore e su come un ventilatore fai-da-te dovrebbe essere assemblato. Non a caso questi esempi arrivano da paesi dove l’idea di una “medical Hackertone” è già realta’, anche se non diffusa. Nel settembre 2020 è in programma, ad esempio, una medical Hackerthon allo stesso John Hopkins Hospital, ed è stato creato un repository delle iniziative relative allo sviluppo e modifica di apparecchiature mediche ai fini della terapia di sostegno agli infetti di Covid-19.
Negli ospedali italiani il livello di stress da covid19 è molto variabile, anche su distanze molto brevi. La situazione degli ospedali di Bergamo e’ sotto gli occhi di tutti. Le richieste di aiuto pubblicate su internet degli stessi ospedali parlano chiaro. A Milano e nell’hinterland nord-ovest, a poco meno di 30 km di distanza da Bregamo, la situazione è pesante ma meno critica. E’ in questi ospedali che la rete di imprenditori e ricercatori potrebbe incontrarsi con i medici di emergenza e cercare di mettere a punto le strategie per le azioni necessarie, non sempre e solo legate allo sviluppo di apparecchi per la ventilazione forzata.
Due esempi. Pazienti che non siano più in condizioni di emergenze e che necessitino di una respirazione assistita profonda, con intubazione, hanno comunque bisogno di riceverr eper lungo tempo un aiuto nella respirazione. Il dispositivo piu’ adatto è il CPAP (Continuous Positive Air Pressure) helmet la cui produzione sembra non essere sufficiente alla domanda. Molti centri di rianimazione stanno ingegnandosi a riciclare altri dispositivi come CPAP helmet, e l’iniziativa italiana del dr. Renato Favero va in questa direzione. Un secondo esempio è legato alla necessità di adagiare i pazienti covid19 proni sul lettino, intubati e sedati per favorire l’ossigenazione. Ma questa posizione procura loro, dopo decine di ore di permanenza, lesioni facciali e forti congiuntiviti. Sempre tramite rete, si sta cercando di sviluppare un semplice dispositivo facciale che allievi questi problemi.
Il punto è che la cooperazione deve essere molto stretta fra rianimatori e rete, una rete fatta di piccoli imprenditori, ricercatori e studenti. Una cooperazione che deve passare dalla periferia dell’epidemia per portare là dove la situazione è più critica, un supporto tecnologico fai da te ma sicuro perchè arriva con la supervisione delle persone che lavorano nel campo, che conoscono le necessità e i pericoli.
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