Dossier sugli effetti della digitalizzazione sulla nostra società, sul modo di lavorare, sul sistema finanziario, sulla formazione e le infrastrutture del paese.
Riconosciuto finalmente da tutti come “fondamentale” il digitale è imprescindibile da ogni dibattito pubblico, ma non tutti colgono la profonda trasformazione che la transizione digitale determina nella società e nell’economia limitandosi a indicare gli aspetti più meccanicistici.
La digitalizzazione non riguarda una semplice automazione di alcune attività – cosa peraltro importante – ma trattasi di uno stravolgimento confrontabile – e probabilmente maggiore- dell’elettrificazione.
Ecco una breve rassegna dei suoi impatti.
- La trasformazione digitale – Stefano Quintarelli
- Smart working – Fabio Migliorini
- Internet delle cose: Da Industria 4.0 a Transizione 4.0 – Davide Formica
- Il Fintech – quando la digitalizzazione incontra la finanza – Sebastiano Barbanti
- Verso una strategia UE per il digitale – Roberto Reale e Massimo Contri
- Metodi e strumenti digitali per il recovery Fund – Federico Minelle
- Lavoro e Formazione – Luigi Troiano
- L’impasse della rete unica – Guido Tripaldi
La trasformazione digitale
Stefano Quintarelli
Oggi sentiamo ripetere ovunque che “il digitale è fondamentale”. Lo ribadiscono ormai tutti i vertici istituzionali. Finalmente, verrebbe da dire.
Chi scrive organizzò il 31 gennaio 2011 un gruppo di personalità ed esperti che pubblicarono un appello sul Corriere della Sera per sottolineare la necessità imprescindibile di puntare sul digitale come leva di partecipazione e sviluppo sostenibile. A seguito di quell’appello l’allora Ministro per la Funzione Pubblica On. Brunetta convocò rappresentanze dei firmatari e si diede inizio alla redazione di una agenda digitale per la PA.
L’attenzione per il tema è stata successivamente oggetto di alti e bassi da parte dei governi che si sono succeduti ma non ha mai fatto presa nella società (e quindi negli elettori).
Pare oggi che finalmente l’argomento sia entrato nel mainstream ma non tutti capiscono a fondo la profonda trasformazione che la transizione digitale determina nella società e nell’economia limitandosi a cogliere gli aspetti più meccanicistici.
Ma la digitalizzazione non riguarda una semplice automazione di alcune attività – cosa peraltro importante – ma trattasi di uno stravolgimento confrontabile – e probabilmente maggiore- della elettrificazione.
Le basi della trasformazione digitale
La ricerca di base porta a sviluppi della fisica che a loro volta sono incorporati nei dispositivi elettronici che usiamo tutti i giorni. La celebre Legge di Moore prevede una crescita esponenziale delle capacità di elaborazione, archiviazione e comunicazione, grazie ad un raddoppio periodico del rapporto prestazioni/prezzo dei dispositivi elettronici, motivato in una capacità di realizzazione di componenti di base sempre più miniaturizzati.
Il costo marginale di elaborazione, archiviazione e comunicazione quindi è (o diviene rapidamente) sostanzialmente nullo e le possibilità enormemente maggiori. Intelligenza artificiale è la terminologia coniata per identificare il prodotto della crescita esponenziale delle possibilità di elaborazione; Big Data per identificare le possibilità di grande archiviazione; Internet of Things per la possibilità di interconnessione.
Il tutto in un gioco sinergico per cui a velocità crescente dispositivi sempre più economici si diffondono ed interconnettono sempre più; i relativi dati vengono rilevati ed archiviati, analizzati ed elaborati.
Per ragioni fisiche, questa corsa esponenziale verso l’aumento di potenza a parità di costo si interromperà tra poco mettendo fine alla Legge di Moore. La miniaturizzazione dei componenti elettronici non potrà spingersi oltre per effetto di interferenze quantistiche su dimensioni atomiche; paradossalmente a quel punto inizieranno effetti sulla società ancora più significativi.
Una volta raggiunto il limite fisico dello sviluppo, la concorrenza non più esprimibile in incrementi di performance si esprimerà in riduzioni di prezzo e i dispositivi elettronici permeeranno il mondo in maniera enormemente maggiore di quanto non facciano oggi.
La nostra possibilità di accedere ai nostri sistemi di calcolo, archiviazione dei nostri dati e loro rilevamento e comunicazione non sarà più confinata fisicamente nei nostri dispositivi ma diffusa. Il nostro “computer” sarà definito dalla nostra possibilità di accesso a tali diffusi elaborazioni e dati, mediante un riconoscimento della nostra identità (l’asset competitivo più estremo), ovunque ci troviamo.
Dal computer sul nostro tavolo, dal computer nelle nostre tasche, arriveremo – letteralmente – a vivere in un computer.
Grazie al costo marginale nullo, tutto ciò che potrà essere calcolato, lo sarà; tutto ciò che potrà essere rilevato ed archiviato, lo sarà.
Tutto ciò che potrà essere interconnesso, lo sarà.
Le regole dell’immateriale
Parlo di dimensione materiale e dimensione immateriale e non di mondi reali e virtuali.
Non sono mondi ma dimensioni in quanto ogni attività umana precedentemente basata su strumenti e relazioni materiali in qualche misura è toccata dalla immaterialità. Salvo alcuni casi di piena sostituzione di una precedente attività materiale con una nuova modalità immateriale, in generale l’immateriale non esclude il materiale ma lo supplementa nello stesso modo in cui la lunghezza non è alternativa alla larghezza ma la supplementa. Ed è tutto molto reale, non virtuale.
Le regole base di comportamento della dimensione immateriale, sono assai diverse da quelle della dimensione materiale. Nella tradizionale dimensione materiale produrre, riprodurre, immagazzinare, trasferire, manipolare hanno costi (economici e di impatto ambientale) significativi. In questa recente dimensione immateriale questi costi sono marginali o nulli.
La materialità è intrinsecamente disconnessa in quanto composta da oggetti che non comunicano tra loro; le sue frizioni richiedono tempo per essere superate, determinano usura e i rendimenti tendono a decrescere. L’immateriale, che è intrinsecamente connesso, è caratterizzato da feedback in tempo reale (e quindi possibilità di raccolta dati, analisi, personalizzazione ed adattamento), da una assenza di usura e da possibilità di rendimenti crescenti.
Salvo casi di grande standardizzazione e ripetitività, assistito da macchine specifiche, il lavoro nella dimensione materiale è svolto da persone che hanno necessità di mezzi di produzione, di oggetti in input sui cui lavorare, di cicli di riposo e di svago. Questo ha portato con la rivoluzione industriale la definizione dei turni di lavoro ed il commuting per svolgere l’attività, con conseguenti impatti sulla struttura delle città, il commercio, ecc.
Un’attività che possa essere svolta nella dimensione immateriale, se ripetitiva può essere svolta da macchine che non conoscono turni; se con componenti di creatività e relazionalità può essere svolto da persone da qualunque luogo, beneficiando anche dell’effetto dei fusi orari per coprire l’arco della giornata.
I macroeffetti dell’immateriale
Queste differenti proprietà di base determinano tre macro fenomeni principali che si innestano sulla già citata pervasività dell’elettronica.
1) Reintermediazione algoritmica
Le aziende e le organizzazioni sociali (anche i partiti politici!), per moltissimo tempo, sono state caratterizzate da una struttura gerarchica multilivello, geograficamente distribuita. Si pensi ad esempio a una fabbrica con distributori e vendita al dettaglio, alle compagnie aeree con la distribuzione dei biglietti, alla distribuzione degli elettrodomestici, all’organizzazione territoriale di una banca o di una compagnia elettrica.
È evidente che l’evoluzione in corso sta portando tutte queste industrie verso un presidio diretto da un centro, mediato algoritmicamente. Dato che le proprietà immateriali rendono il mondo un grande «qui», una struttura di presidio multilivello è progressivamente meno giustificabile; il centro tende a svolgere sempre più funzioni, grazie alla digitalizzazione dei processi, all’integrazione digitale delle filiere, al contatto diretto con le periferie e i clienti. Il tutto avviene con costi caratterizzati da investimenti limitati e costi marginali che tendono a zero.
All’inizio della fase di transizione, la maggioranza dei clienti/utenti fa riferimento a una struttura tradizionale. Quando si affaccia sulla scena un operatore organizzato in modo innovativo, questo godrà di un formidabile vantaggio di costo rispetto alla concorrenza. Naturalmente, all’inizio il suo target di riferimento sarà inferiore, ma con la progressiva dematerializzazione dei rapporti, le sue quote aumenteranno significativamente a scapito dell’operatore tradizionale, e con esse cresceranno i suoi margini, grazie alla base di costo inferiore.
Il passo successivo è la pressione sui prezzi, ulteriormente a scapito dell’operatore tradizionale. Per l’operatore tradizionale il compito è arduo: deve gestire la transizione minando la struttura che nella prima fase della transizione è la fonte dei suoi ricavi e dei suoi margini, affrontando un concorrente che prescinde da una attività legacy che lo condizioni. Da questo si capisce come questo fenomeno accompagni la pressione sui salari e la concentrazione dei profitti.
2) Target di uno
Un filo invisibile lega tutti noi costantemente alla rete. Il semplice fatto di possedere uno smartphone e tenerlo acceso ci rende permanentemente connessi.
Cosa definisce con maggiore precisione una persona? Nome e cognome, sesso, altezza, colore degli occhi e indirizzo o tutto l’insieme dei luoghi ove si reca, delle sue interazioni, delle sue relazioni e attività, integralmente registrati dalle briciole digitali che lasciamo nella dimensione immateriale? Normalmente si considera una «identità» limitatamente ai primi aspetti, quelli anagrafici, ma nella dimensione immateriale gli aspetti più rilevanti sono i secondi, che definiscono con grande accuratezza «chi» sia davvero una persona.
I dati, l’identità degli utenti (secondo questa definizione estensiva), sono un ingrediente utilizzabile per fare una personalizzazione dei messaggi nel contempo di massa ma anche specifica, fino a giungere a un target composto da un singolo individuo. Ogni contenuto che un utente riceve da un intermediario tramite un dispositivo connesso veicola a ciascuno messaggi differenti. Messaggi personalizzati su base individuale per ciascuno degli utenti e per ogni comunicazione o acquisto.
Tutte le informazioni sono acquisite e archiviate in quantità altrimenti inimmaginabile grazie al fatto che archiviare ha un costo nullo e che con l’elaborazione automatica è possibile scavare nei dati (data mining) alla ricerca della migliore offerta possibile per ogni specifico cliente, da proporgli nel momento in cui lo desidera.
Ciò accade in misura crescente sia in fase di prevendita, con marketing sempre più mirato, di vendita e postvendita, per acquisire dati utili alla produzione. Sia in termini di utilizzi (e quindi di affinamento della progettazione) sia per la manutenzione.
Con una perfetta conoscenza dell’identità del consumatore e una transazione personalizzata individualmente, ogni cliente può avere un prezzo diverso, fissato dinamicamente grazie a dei sistemi di dynamic pricing che, grazie all’analisi di dati effettuata con sistemi di intelligenza artificiale determinano il prezzo corrispondente al massimo valore che egli è disponibile a pagare.
In futuro si potrebbe arrivare al limite in cui viene meno la funzione del mercato di fissare i prezzi tra domanda e offerta. Questa enorme conoscenza di ciascun singolo cliente, della sua identità in questa accezione estesa, potrebbe risultare una barriera all’ingresso di nuovi attori che non dispongano di questa conoscenza, in quanto non c’è più un prezzo noto da battere, formato su un mercato pubblico nel quale avvengono transazioni, ma un insieme di prezzi individuali determinati in altrettante transazioni private guidate dall’Intelligenza artificiale.
Con la progressiva migrazione della relazione commerciale dalla dimensione materiale a quella immateriale, gli intermediari immateriali conquisteranno il rispettivo mercato ed imporranno anche le condizioni di acquisto ai fornitori che non potranno prescindere da questo canale commerciale, pena la sostanziale sparizione dal mercato.
3) Il mondo diventa un punto
Dato che trasferire l’informazione non costa e non richiede tempo, il costo dell’accesso all’informazione e l’accesso al controllo dei dispositivi remoti è nullo; e i benefici sono molti. Pertanto, ogni oggetto che potrà essere connesso in rete, lo sarà.
Tutto sarà accessibile sempre e ovunque, a chi ha titolarità per accedervi.
Dato che tutto è accessibile sempre e ovunque, è possibile lavorare da luoghi diversi cambiando la natura dei rapporti del lavoro e della parcellizzazione del tempo.
La globalizzazione si intreccia intimamente con lo sviluppo della tecnologia che tende a concentrare il mondo in un punto.
Ancora qualche decennio fa emigrare implicava una cesura radicale dalla cultura di origine, dalle abitudini sociali, alimentari, famigliari. Oggi, ovunque, si ha accesso a cibi e abbigliamento del Paese di origine; si può comunicare con colleghi, parenti e amici in continuazione, avere accesso diretto a servizi di trasporto low-cost; essere informati in continuazione sulle ultime offerte di fornitori e integrati nella loro supply chain.
La concentrazione del mondo facilita il trasferimento di persone in Paesi diversi dalla patria d’origine, fornendo ogni informazione sui luoghi di destinazione, collegamento con le comunità residenti e, una volta trasferiti, connessione con le comunità di origine.
Se consideriamo gli andamenti demografici del mondo, vediamo come la pressione demografica sottostante i fenomeni migratori sia destinata a crescere ancora per alcuni decenni.
Nelle città coesisteranno molte culture diverse e, data la facilità di conservazione di legami con i luoghi di origine e con gli altri co-immigranti in situ, le strategie di integrazione dovranno adattarsi per indirizzare la crescente difficoltà di permeabilità delle culture locali rispetto alla persistenza delle culture di origine. La questione culturale dell’integrazione diviene una sfida crescente per società tradizionalmente monoetniche.
Conclusioni
Ho tratteggiato in questo articolo solo alcuni dei fenomeni profondi che stanno alla base della digitalizzazione ed accennato alcuni degli effetti più macroscopici che incidono sulla nostra società ed economia. Come illustro nel libro Capitalismo Immateriale, molti dei fenomeni che osserviamo e che popolano le pagine dei quotidiani offrono, a chi sa interpretarli, una chiave di lettura che è in qualche modo abilitata o catalizzata dalla digitalizzazione.
Qui di seguito, con il contributo di alcuni colleghi dell’Associazione Copernicani, proviamo a tratteggiare degli effetti anche legati alla attuale pandemia ed alla sua gestione.
Smart working
Fabio Migliorini
Tra le tante realtà che la pandemia ci ha portato ad affrontare con urgenza il cambiamento di modi, tempi e stile del lavoro è stato uno dei più evidenti.
Il “lavoro agile” o il telelavoro erano ancora una realtà per pochissimi, secondo ISTAT solo per lo 0.08% degli occupati Italiani la casa era il luogo di lavoro principale.
Come è stato possibile arrivare ad un picco di 8 milioni di lavoratori (secondo Confidustria) in pieno lockdown? La risposta sta nel potenziale di telelavoro che era già presente nelle nostre economie grazie alla digitalizzazione di molte fasi di attività. Stime empiriche indicano che in Italia circa il 35% dei lavori potrebbero essere svolti in modalità “remota”. Se siamo riusciti a fare di necessità virtù non significa però che tutto sia così semplice. Le stima sopracitata non considera aspetti qualitativi, ad esempio lo psicoterapeuta è considerata una professione interamente svolgibile da remoto, e appunto può darsi che lo sia ma sarebbe auspicabile?
Altri interrogativi prendono le mosse dal filone di geografia economica (ad esempio i lavori di Enrico Moretti) che legano l’innovatività e la produttività del lavoro anche a fattori di prossimità fisica, spiegando così il successo delle grandi metropoli innovative (San Francisco, Londra) nel mondo pre-pandemia.
Non c’è dubbio sul fatto che il digitale in quanto “general purpose technology” pervaderà sempre di più il lavoro, ma non lo farà in maniera automatica o facilmente prevedibile, saranno necessari adattamenti metodologici, organizzativi e legislativi e forse anche qualche compromesso della tecnologia con “l’animale sociale”.
Internet delle cose: Da Industria 4.0 a Transizione 4.0
Davide Formica
Nel 2017 l’attuazione del piano Industria 4.0 ha segnato un punto di svolta nell’opera di rinnovamento tecnologico in ambito industriale, stimolando gli investimenti in automazione e portando significativi risultati di produttivita’ del comparto della media impresa Italiana grazie ad incentivi fiscali.
Oggi nel 2020 si cerca di rinnovare quell’impulso con l’attuazione del nuovo “Piano Transizione 4.0” che come tale deve segnare un momento di passaggio verso l’adozione anche di un’ulteriore prospettiva; oltre a stimolare la domanda d’innovazione vanno incentivate le tante aziende italiane che quell’innovazione la producono facendo evolvere ad esempio gli strumenti utili all’automazione e controllo dei processi produttivi di un’industria sempre più pervasa dall’Internet delle cose (IoT); non solo incentivi rivolti al trasferimento della proprietà dei mezzi di produzione ma stimoli per innovare i modelli di business rivolti alla fruizione della tecnologia e dei servizi digitali ad essi sempre più associati; e tra questi la formazione del personale, ingrediente fondamentale per attuare una vera trasformazione nelle imprese italiane.
Il Fintech – quando la digitalizzazione incontra la finanza.
Sebastiano Barbanti
Uno dei settori su cui la trasformazione digitale ha pesantemente impattato e che, per lo stretto legame con la nostra quotidianità, tutti possiamo notare è quello delle banche e della finanza in generale.
Dieci anni fa il 70% dei clienti si recava in filiale per le esigenze finanziarie; adesso 2 contatti su 3 avvengono in via digitale. La diffusione di PC, tablet e, soprattutto, smartphone consente di avere la banca in tasca sempre a portata di mano. E gli istituti finanziari si sono adeguati diminuendo le filiali, sposando sistemi di intelligenza artificiale per costruire chatbot con i quali interagiamo come fossero persone fisiche, aumentando tramite i big data la conoscenza dei clienti per proporre prodotti estremamente personalizzati anticipandone il bisogno.
Ma forse l’impatto più rilevante è stata la dematerializzazione del denaro. Poter disporre sempre ed in maniera semplice dei propri risparmi per effettuare trasferimenti di denaro, acquisti e pagamenti è stata una delle cause, complice il periodo di lockdown causato dal Covid-19, dell’esplosione dell’e-commerce nonché un fattore abilitante per nuovi modelli di business digitali.
Negli Stati Uniti, infatti, l’erogazione di una parte del massiccio pacchetto di stimolo da 2.000 miliardi di dollari avviato dal governo, che include prestiti alle piccole imprese e assegni da 1.200 dollari alle persone fisiche, mirati ad attenuare le conseguenze del coronavirus è avvenuto anche tramite app come Cash di Square o Venmo, mentre le per i piani di protezione dello stipendio le PMI hanno potuto usare Paypal o Intuit. Infine, per restare in tema finanza pensiamo alla possibilità di investire o prendere in prestito del denaro attraverso le piattaforme di lending: un potente mezzo digitale a supporto della diversificazione delle fonti di credito per le imprese e di inclusione sociale e finanziaria per i cittadini.
Verso una strategia UE per il digitale
Roberto Reale e Massimo Contri
Una trasformazione digitale pervasiva si basa sulla disponibilità di un’infrastruttura fisica e tecnologica, il cloud, in grado di erogare in maniera economica, sicura e scalabile memoria e potenzialità di calcolo.
La quasi la totalità dei servizi cloud in Europa è fornita da società non europee con la conseguente dipendenza dell’Europa da fornitori esterni per l’infrastruttura portante del nuovo processo di trasformazione delle imprese e della pubblica amministrazione.
Questo pone un problema di sicurezza per quanto riguarda la gestione dei dati, l’erogazione dei servizi, anche pubblici, ed in generale per la continuità del business aziendale. Non da ultimo la posizione dominante pochissime società globali genera squilibri contrattuali soprattutto nei confronti delle piccole e medie imprese ed alimenta ritorni di scala crescenti che rendono estremamente difficile per i nuovi arrivati attrarre clienti e offrire prezzi e servizi migliori.
Nel febbraio 2020 la Commissione Europea ha pubblicato la nuova strategia europea sui dati riconoscendo che la disponibilità dei dati, sostenuta dalla diffusione di oggetti connessi intelligenti, come telefoni, automobili, dispositivi indossabili, impianti di produzione industriale, ma anche dall’introduzione di nuove tecnologie, come la rete 5G, è fondamentale per le PMI e la PA al fine di favorire lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi. Con l’intento di rafforzare le capacità dei fornitori europei, la Commissione Europea ha pianificato quindi di investire nel periodo dal 2021 al 2027 in un Progetto ad Alto Impatto sui dati europei e sulle infrastrutture cloud federate. Il piano ha lo scopo di mobilitare 4-6 miliardi di euro, di cui la Commissione Europea punta a finanziarne 2 miliardi di euro.
Oltre a mobilitare investimenti diretti, la Commissione si è impegnata a facilitare lo sviluppo di standard e requisiti comuni europei per gli appalti pubblici di dati e servizi cloud. In tal modo il settore pubblico dell’UE, a tutti i livelli, potrebbe generare un livello di domanda aggregata in grado di sostenere lo sviluppo di tale infrastruttura europea.
In Europa non esiste un player della taglia dei colossi americani e, proprio per evitare il moltiplicarsi di federazioni di nuvole frammentate, la Commissione Europea sta anche programmando di lavorare in sinergia con quei Paesi che hanno già proposto iniziative simili, come il progetto Gaia-X avanzato da Germania e Francia. L’unificazione degli sforzi a livello continentale potrebbe migliorare l’attrattività del progetto e porre le basi per attrarre una massa critica di utenti in grado di generare un effetto di rete positivo.
Metodi e strumenti digitali per il recovery Fund
Federico Minelle
Per gestire gli effetti dell’Emergenza Covid stanno per giungere in Italia risorse fnanziarie come non è mai successo nella nostra storia.
Esse verranno impiegate anche per accelerare la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione, la realizzazione di infrastrutture ICT accessibili al pubblico (la rete) e nelle imprese. Come già ricordato in altri contributi, un elemento determinante è la formazione del personale. In questo senso è auspicabile – oltre alla formazione continua sul lavoro – predisporre anche adeguamenti nei piani scolastici e nel raccordo tra universtà e mondo del lavoro. Interventi questi che non riguarderanno direttamente l’impiego dei fondi, in quanto destinati agli investimenti e non alla spesa corrente, ma funzionali allo sfruttamento ed all’uso appropriato degli strumenti.
Un aspetto trascurato nel dibattito, incentrato sul cosa fare con i fondi, è il come fare, ovvero quali strumenti (digitali) e quali metodologie mettere in atto per assicurare che il loro impiego sia un successo e non un generatore di opere inconcluse o non utili, come la storia ci ammonisce.
A tal fine è auspicabile un percorso articolato in 2 passi principali:
- Istituire/rafforzare la funzione di Portfolio/Program/Project Management (PPMO), per seguire la pianificazione ed implementazione dei progetti ICT. : Il PPMO dovrà seguire lo sviluppo dei piani e la loro realizzazione, diventando il punto di riferimento degli Enti attuatori (in Italia) e degli organi di controllo (UE), evidenziando anche sinergie/vincoli reciproci tra i vari programmi/progetti. Inoltre, svolgerà l’essenziale compito di reporting di avanzamento lavori, da presentare al Paese prima ancora che all’Europa;
- Applicare stabilmente nella fase di procurement pubblico anche criteri di vendor rating e di “Maturità nel PM”. Le esperienze positive di vendor rating già effettuate nell’ICT da alcune PA italiane hanno agevolato la valutazione sulla qualità delle forniture offerte. Inoltre, è consigliabile che le Imprese partecipanti alle gare più importanti dimostrino non solo di avere Project Manager qualificati, ma anche di possedere un adeguato livello di “Maturità organizzativa nel Project Management”.
Esistono strumenti digitali collaudati a supporto di queste attività. I vantaggi si manifesteranno subito, in termini di guida e supporto metodologico agli Enti attuatori (anche nei rapporti con le Imprese realizzatrici) e di coordinamento e credibilità verso i colleghi europei. E poi si concretizzeranno al completamento dei progetti, nel dispiegamento dei benefici attesi per il Paese.
Lavoro e Formazione
Luigi Troiano
La reintermediazione algoritmica ha come prima conseguenza la disarticolazione dei corpi intermedi della società.
Dovremo presto interrogarci se e come reinterpretare il ruolo della rappresentanza sindacale e politica. La modifica della natura e della struttura del lavoro avrà conseguenze sul modo di produrre valore, con conseguenze di lungo termine sui livelli occupazionali.
La delocalizzazione del lavoro, prima avvenuta su scala globale in ragione della globalizzazione e ora su scala locale grazie allo smart-working, modifica l’organizzazione e la funzione degli spazi di lavoro e di aggregazione, fino al punto di innovare l’architettura degli ambienti e l’urbanistica delle città.
Se il ‘900 è stato caratterizzato dalla formazione di ceti urbani che hanno influenzato profondamente lo sviluppo metropolitano, c’è da chiedersi quali impatti produrrà la nuova riorganizzazione del lavoro in relazione a mutate esigenze di vita che comprendono la mobilità, la ristorazione, il commercio, l’organizzazione dei tempi, la socialità e la familiarità.
E così come già avvenuto in passato, avremo bisogno di sviluppare nuove competenze, mentre altre diverranno desuete. Competenze che non vanno viste unicamente alla luce delle nuove tecnicalità del lavoro, ma vanno riferite più in generale alle nuove istanze della società.
Cambierà il modo di intendere la formazione, anch’essa sempre più delocalizzata.
Dovremo abituarci ad un processo di apprendimento continuo, espandendo i confini temporali e spaziali della scuola e dell’università. Ma dovremo anche intendere una diversa finalità della formazione, maggiormente intesa a sviluppare capacità propriamente umane come il risoluzione di problemi e il pensiero creativo, imparando a collaborare con nuove macchine evolute che ci aiuteranno in compiti prima svolti esclusivamente da umani.
Gli algoritmi influenzeranno necessariamente la nostra percezione delle cose, dei fatti e delle persone, proponendosi come nuovi elementi di intermediazione.
La trasformazione digitale ci impone di guardare avanti, non dimenticando la lezione del passato, ma chiedendoci di aggiornare radicalmente le categorie con cui abbiamo interpretato la storia recente.
L’impasse della rete unica
Guido Tripaldi
L’economia materiale deve il proprio sviluppo alle reti e ai servizi di trasporto delle merci, che hanno reso possibile lo sviluppo del mercato in modo sempre più capillare, veloce e globale. Le reti di trasporto sono costituite, in estrema sintesi, da tre livelli di servizio: al livello più fondamentale abbiamo le infrastrutture fisiche (stradali, ferroviarie, ..) poi i mezzi di trasporto che su queste transitano, infine i servizi di logistica al servizio delle varie attività più prettamente commerciali.
L’economia immateriale, che rappresenta il nuovo enorme fronte di sviluppo dell’economia globale, deve analogamente la sua esistenza e sviluppo alle reti ed ai servizi per il trasporto dei dati. Costituite anch’esse da tre livelli, quello fondamentale costituito dai collegamenti in fibra ottica e rame, poi dai servizi che trasportano i dati Internet al di sopra dei collegamenti fisici, infine i vari servizi online che funzionano grazie alla possibilità di trasporto capillare di tali dati.
Va da se che laddove le strade siano strette e non arrivino dappertutto, il mercato, materiale o immateriale che sia, si sviluppa meno in termini di volumi e velocità, e dove esso sia controllato da un unico soggetto vi sarà anche minor innovazione per la scarsa pressione competitiva. Per questa ragione è importante che le infrastrutture di rete a fibra ottica, le strade dell’economia immateriale, siano diffuse capillarmente sul territorio e nel contempo non ostacolino innovazione e concorrenza.
In linea teorica, per garantire un contesto concorrenziale aperto, chi amministra la struttura fondamentale è bene che non gestisca servizi ai livelli superiori, in quanto in entrambi i casi, il potere di controllo sull’infrastruttura gli potrebbe consentire mettere in atto pratiche anticompetitive contro altri fornitori di servizi che dipendano dalla sua infrastruttura; gli effetti negativi si ripercuoterebbero fino ai consumatori finali.
L’Italia ha visto solo da pochi anni uno sviluppo ampio e competitivo della fibra ottica grazie all’ingresso di Open Fiber nel mercato delle infrastrutture, società costituita da Enel nel 2015 per colmare il forte ritardo digitale dell’Italia come da obiettivi dell’Agenda Digitale Europea, ritardo derivante anche dal fatto che TIM, l’operatore dominante, fino a quel momento non si è dimostrato interessato a investire nelle aree meno remunerative del nostro Paese, e che per mantenere un vantaggio competitivo ha intralciato le attività di OpenFiber proprio in quelle aree, pratica per la quale è stata successivamente condannata per abuso di posizione dominante.
Il tentativo di controllo del mercato della fibra da parte dei due operatori ha portato al progetto di rete unica, ovvero dell’integrazione delle reti di TIM e OpenFiber in un nuovo e distinto soggetto societario, AccessCo. Apparentemente il progetto è sensato perché consentirebbe di non duplicare le infrastrutture coprendo il Paese con minor spesa complessiva, nel contempo però si creerebbe un soggetto con caratteristiche monopoliste a scapito di condizioni concorrenziali virtuose. Il progetto inoltre è problematico anche per la volontà di TIM di ottenere il controllo societario cosa che però creerebbe conflitti d’interesse causati dalla posizione dominante di TIM sui mercati adiacenti.
Le modalità con le quali verrebbe realizzata la rete unica limiterebbe la possibilità che altri operatori europei possano sbarcare in Italia; è quindi probabile che della questione venga presa in carico dall’antitrust europeo. L’autorizzazione Antitrust in queste condizioni appare improbabile, al pari dell’accettazione da parte di TIM di scorporare la propria rete senza però mantenere il controllo della nuova società.
Questo pare essere l’impasse in cui ci troviamo.
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