4. E-Participation un passo verso la E-Democracy?

Internet e democrazia un rapporto ancora ambiguo

Il rapporto fra Internet e democrazia non appare in grande forma: da un lato

  • Se nel 1990 soltanto il 4% della popolazione mondiale aveva accesso ad Internet oggi siamo oltre il 50% con più di 4 Miliardi di utenti (Source: Global Digital Report 2018[1]);
  • Comunicazione, campagne ed attività sui social media come Twitter, Facebook o altri sono cresciute esponenzialmente.

dall’altro

  • Il numero di paesi censiti come democratici o parzialmente democratici da Freedom House, e rimasto quasi invariato dal 1999;
  • Nella contrapposizione fra network e gerarchie elitarie, queste ultime sembrano continuare a prevalere.

Al servizio dei cittadini o dei Poteri Forti

É forte e suggestiva la narrazione di una rete libera e neutrale, che permetterà finalmente di vincere una volta per tutte la battaglia per la libertà. Questa narrazione è sostenuta da un’ingenua fiducia nel potenziale liberatorio della comunicazione online, “… una fiducia che si basa sul rifiuto ostinato di riconoscerne gli aspetti negativi…” (Evgey Morozov, L’ingenuità della rete). I cyber-utopisti o internet-ottimisti sottovalutano gli investimenti e le energie profuse dai governi autoritari nel controllo attraverso la rete. Oggi i governi autoritari sono forse più forti degli attivisti nella gestione di internet: dispongono di una vastissima mole di dati, hanno strumenti informatici, possono localizzare e seguire gli oppositori, possono impedire l’accesso ad internet e monitorare le conversazioni online. É pur vero che nessun regime è in grado di controllare pienamente l’attività online; misure estreme come la chiusura della rete (vedi Piazza Tharir in Egitto nel 2011) hanno fatto collassare anche le attività finanziare ed economiche, oramai largamente operanti in rete. Vi è chi sostiene che la maggior libertà della rete alla fine conduca a più frequenti misure repressive, chi invece ritiene cha alla fine a beneficiarne siano maggiormente i regimi autoritari. Si tratta comunque di una realtà in evoluzione continua e nella battaglia fra “guardie e ladri” è un dato di fatto che gli utenti “smart” riescano ad aggirare le censure, ma anche che le reazioni dei regimi non si fanno attendere; se non riesci a controllare gli input, sanziona l’output. Interessante il caso della Cina che stabilisce il reato di diffamazione punibile nel caso di messaggi re-twittati più di 500 volte o letti da una platea di almeno 5.000 persone. L’analisi empirica dimostra sì che gli attivisti hanno delle chanche di lanciare più iniziative tramite il supporto della tecnologia, ma alla fine soltanto le iniziative che riescono a trasformarsi in movimenti politici tradizionali hanno un impatto di lungo periodo; le altre scompaiono. Per avere continuità e sostenibilità, serve leadership, una strategia politica, pragmaticità e disponibilità ai compromessi; in assenza di questi ingredienti anche le migliori ideologie nate sulle ali della tecnologia scompaiono velocemente dall’orizzonte politico (look at the Pirate Party in Germany).

C’è anche un Rischio Volatilità?

Fra le varie posizioni c’è chi sostiene che non solo internet non sarebbe poi così efficace nel combattere l’autoritarismo, ma indurrebbe anche le democrazie ad una maggiore volatilità, favorendo indirettamente e nel lungo termine i regimi che spesso si affacciano dopo i periodi di populismo entusiasta (vedi Maduro dopo Chavez). La lettura dei giornali è in forte calo, oggi soltanto il 16% degli americani quarantenni li legge e se consideriamo i ventenni il valore scende a 6%. Nel tradizionale mercato UK la circolazione dei giornali si è dimezzata. Dall’altro lato i media digitali sono molto più comodi, offrono una grande varietà di accessi, contenuti e soprattutto offrono contenuti e commenti che già corrispondono al pensiero del lettore. Mentre la stampa tradizionale può offrire un commento ampio, bilanciato su cui costruire la propria posizione e le proprie convinzioni, i media digitali favoriscono la polarizzazione politica, rinforzando e talvolta esacerbando posizioni estreme. Questo favorisce movimenti populisti che facendo dell’antipolitica tradizionale la loro bandiera, riescono a raccogliere valanghe di ‘like’ pronti a migrare all’apparire di una news (fake or true poco importa), ma che spariranno dalla scena se non sapranno strutturarsi nelle forme tradizionali di attività politica.

La democrazia arretra nel mondo e anche le democrazie rappresentative più mature necessitano di manutenzione

Per il 12-esimo anno consecutivo il rapporto 2018 di Freedom in the World registra un arretramento del livello democratico globale:

  • Stati che come Turkey e Hungary e in parte anche la Polonia considerati molto promettenti solo un decennio fa, stanno virando verso l’autoritarismo;
  • In Myanmar i militari, che iniziarono una progressiva apertura democratica nel 2010, hanno messo in atto campagne di pulizia etnica, respingendo le critiche internazionali al loro operato;
  • Partiti populisti di destra hanno guadagnato consensi nelle elezioni in France, the Netherlands, Germany, Austria ed Italia. In taluni casi non sono andati al governo ma hanno contribuito ad indebolire gli schieramenti tradizionali di destra e sinistra;
  • China e Russia, non solo hanno colto opportunità di intensificare la repressione interna ma hanno iniziato ad esportare la loro influenza in altri paesi;
  • Il presidente Xi Jinping ha recentemente proclamato che la Cina ha inaugurato un “nuovo corso”. Una via via che include tribunali politici, rating di affidabilità, intolleranza per il dissenso ed elezioni pilotate.

Al di là delle posizioni di merito e delle tendenze di fondo indicate nel rapporto, non possiamo comunque negare che le democrazie tradizionali anche qui in Europa stiano subendo una forma di degrado. Percentuali di votanti in calo, “disengagement” dei cittadini dalla politica e dalle organizzazioni politiche (attenzione sovraproporzionale ad alcune rumorose minoranze), crescente sfiducia nelle istituzioni e nei politici, sono sintomi che non devono essere sottovalutati. In Europa sono numerose le modifiche a procedure istituzionali atte a favorire, referendum, petizioni, consultazioni che facilitino la partecipazione dei cittadini anche a decisioni di livello comunitario. Il problema è sentito e la diffusione della rete ha generato grandi aspettative sul ruolo che la rete potrebbe svolgere nel facilitare la partecipazione attiva e risvegliare l’interesse dei cittadini ai processi decisionali politici.

Il dibattito: “E-democracy as only remedy option”?

Nell’ambito di un’ondata neo-positivistica di tecno-entusiasti, che riversano grande fiducia nella tecnologia e nelle sue possibilità, una delle posizioni più accreditate è quella di Ian Shapiro [2], che parte dall’intravvedere una deriva delle attuali democrazie rappresentative verso oligarchie, plutocrazie o addirittura cleptocrazie. La ragione, secondo Shapiro, di questa deriva è da ricercarsi nell’assenza di un’eguaglianza di diritti di base in quanto i più ricchi e potenti decidono, nominano i rappresentanti e alla fine conducono la danza: “…It is my opinion that representative democracies are in dire straits because of their failure to uphold core democratic values, notably equality and transparency, and that e-democracy may offer the only feasible remedy…” (Shapiro, U. Point: Foundations of E-Democracy Communications of the ACM)

Start small, scale fast; critica alla posizione di Shapiro

A nostro modesto avviso è il declino della cultura democratica che spiega il declino dell’interesse attivo, non la mancanza di una tecnologia adeguata (Schuler, D. Counterpoint: E-Democracy Won’t Save Democracy. Communications of the ACM). Quando i cittadini vedono che i governanti diventano irrilevanti e non responsivi alle istanze popolari, diventano cinici, qualunquisti e riducono la loro disponibilità alla partecipazione alla vita politica. Quello che serve è avere cittadini più “engaged”, informati e disponibili a partecipare ai grandi temi della società. [Schuler] chiama questa condizione “Intelligenza Civica” . (Schuler, D. Cultivating society’s civic intelligence: Patterns for a new ‘world brain’. Information), Derubricare il tema ad un mero aspetto tecnologico significa ignorare la sostanza del problema. Limitarsi a trasferire la “meccanica della democrazia” su internet, non solo non risolverebbe il problema ma esporrebbe ai nuovi rischi dovuti alla scarsa conoscenza di quell’ambito. I problemi che dobbiamo affrontare si chiamano, mancanza di leadership politica, libertà dei media, educazione e cultura civica, credibilità dell’establishment; tutti problemi che la tecnologia da sola non può risolvere perché corruzione, influenza del denaro, manipolazione, lobby non sono temi tecnologici. Lo stesso [Shapiro] nella sua enfatica ricetta richiede alcune condizioni al contorno:

  • accesso universale ad Internet;
  • net neutrality;
  • accessi internet non-sorvegliati.

Esiste un ambito o paese (se ha senso il termine) dove queste condizioni sono realizzate? Possiamo attenderci una loro sollecita realizzazione? È molto confortante il grande sogno di una frontiera digitale, oltre la quale vige libertà di pensiero, pari opportunità per tutti, dove il libero associazionismo si ritrova e contribuisce ai processi decisionali di un sistema politico onesto, competente e soprattutto interessato al bene dei cittadini; ma anche Alice nel paese delle meraviglie “… sapeva che sarebbe stato sufficiente aprire gli occhi per tornare alla sbiadita realtà senza fantasia degli adulti…” . Ma seguiamo per un momento Shapiro ed ammettiamo (per assurdo) che le condizioni al contorno siano realizzate: accesso universale, net neutrality, assenza di player dominanti, etc.

Resterebbero comunque irrisolti alcuni temi rigorosamente non tecnologici:

  • la probabilità di “flame wars ” (favorite dall’anonimato) e forte frammentazione delle posizioni, anzichè un processo di sintesi verso una posizione pubblica consolidata
  • un’ipertrofica “Consumer Sovereignity ” che aprirebbe le porte alla volatilità ed a processi populisti.

E-Participation

Per cercare di conciliare queste visioni divergenti è forse opportuno osservare le evidenze empiriche sui casi o meglio gli esperimenti di impiego della tecnologia in ambito politico. Appare chiaro che il concetto di E-Democracy sia ancora vago, fumoso, forse un po’ ideologico e con numerosi temi oggetto di dispute non definitive ed ancora aperte. Se guardiamo agli esempi ed esperimenti ad oggi disponibili nel mondo, sembrerebbe più opportuno limitare l’analisi alla E-Participation dove in effetti è già possibile eseguire una ricognizione di strumenti, categorie e funzioni. E-Participation è un ambito nel quale si stanno concentrando molti analisi e studi per capire come la tecnologia possa facilitare la partecipazione, accompagnando e supportando le tradizionali istituzioni di democrazie rappresentativa senza sostituirle. La partecipazione è un indicatore chiave della qualità di una democrazia e presuppone trasparenza, legittimazione, inclusione e parità di condizioni per tutti. Nella tabella allegata Aichholzer, G., Allhutter, D. , (Online forms of political participation and their impact on democracy, Austrian Academy of Sciences Institute of Technology Assessment Vienna) individua tre funzioni principali Informativa (e-enabeling), Consultiva (e-engaging) e Partecipativa (e-empowering) da declinarsi a livello collettivo o individuale.

La ricognizione e lo studio delle esperienze è attualmente più sviluppato sui temi di e-enabling ed e-engaging e centrato su Individualistic activism. Più frammentato è il quadro sull’e-empowering, che soffre ancora di problemi irrisolti, anche tecnologici come la privacy del voto, e che quindi necessita ancora di un dibattito approfondito. Anche limitando l’ambito, le evidenze empiriche rivelano purtroppo un quadro ancora contraddittorio e le conclusioni che si possono trarre sono largamente non definitive: Alcuni studi basati su verifiche sperimentali tendono a dimostrare che l’impatto della tecnologia nella mobilitazione contro decisioni prese dalle élite dominanti, è modesto. Al contrario altri tipi di analisi attribuiscono alla tecnologia il ruolo positivo di catalizzatore dell’interesse fornendo quindi uno stimolo positivo alle iniziative civiche. Al di là di questo quadro apparentemente contraddittorio non possiamo comunque esimerci dal rilevare che la “tecnologia della democrazia” non avrà forse definito il punto di arrivo né la direzione ma è in cambiamento, e con questo cambiamento ci dobbiamo confrontare.

L’analisi e le esperienze maturate nel mondo fino a questo memento mostrano che il passo verso l’e-democracy è ancora troppo lungo ed incerto. Rimangono tuttavia alcune ambiguità di fondo, meccanismo non perfettamente chiariti sul lato rischi, oltre all’assenza di alcune basilari condizioni al contorno. Probabilmente ci troviamo in una sorta di Medio Evo Digitale, con grandi potenze che dominano lo scenario ed hanno posizioni difficilmente scalfibili. Una via possibile (e saggia) è procedere per gradi, limitando il focus iniziale all’e-participation, diffondendo conoscenze, lanciando esperienze e permettendo al sistema di comprendere nuovi processi e forme di interazione, sperimentarle, capirne i limiti ed i rischi per poi scalarle. La consapevolezza di trovarsi in un “Medio Evo Digitale” non è certo una ragione per non fare, al contrario deve fungere da stimolo per individuare percorsi di uscita che permettano di beneficiare delle opportunità offerte dalla tecnologia. Se poi scopriremo che prossimi step saranno Umanesimo e Rinascimento Digitale allora potremo veramente dire che il problema non era tecnologico.

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